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RECENSIONI

L'EMERGERE DEL POSSIBILE
4-10-2016
a cura di Francesco Cazzin

Eccoci dunque al post numero mille. Non un traguardo, quantomeno per noi, ma una data di scadenza - e a noi piacerebbe che fosse considerata tale anche da voi. In questo senso, non ci va tanto di rimuginare sui tempi andati, di quando, più di quattro anni fa, aprii questo blog e menate del genere, quanto, piuttosto, fiondarci subito sul tema della recensione, ovvero La Malora, il disco dei Marnero tratto dal bellissimo libro di J.D. Raudo, chitarrista e cantante del gruppo. Aristotelicamente, tuttavia, dire il che cosa implica anche spiegarne la causa (l'esempio della quadratura è noto), e noi rimaniamo, in fondo, aristotelici; tuttavia, non ci va nemmeno di spendere righe accaso per spiegare come mai, in un blog che si occupi esclusivamente di cinema, capiti una recensione simile, poiché questo crediamo venga da sé nel corso dello scritto, a premessa del quale vorremmo comunque, se qualche coglione non se ne fosse accorto, ribadire quanto questo disco ci abbia dato e continui a darci, fintanto da mutare diversi punti di vista che avevamo e, anche, di approfondirne alcuni di cui avevamo solo il sentore o, peggio, la parvenza: La Malora è, a nostro riguardo, una delle opere più radicali e importanti che abbiamo avuto la fortuna di esperire, e non scherziamo quando diciamo che esso è, più molti film e testi filosofici, uno dei nostri pochi punti di riferimento. Detto questo, urge anche precisare che La Malora è il compimento fallimentare di una trilogia, cominciata con Naufragio universale e continuata con Il sopravvissuto. Diciamo «fallimentare» perché il disco è in realtà un doppio, un 4 di 3 che compie la trilogia (in quanto disco doppio non possiamo, in effetti, parlare di una tetralogia) non tanto eccedendola ma dislocandola essenzialmente, nell'essenza: quel che accade non è che la trilogia diventi altro da sé, ma, a causa del fallimento, per ora solo operativo, di cui sopra essa è come se si piegasse, sfondando in una dimensione altera, un Altrove nella quale la trilogia può essere pensata come composta di 4. Questa dimensione è specifica del disco, e se metodologicamente od operativamente i Marnero la dischiudono in questo modo, è altrettanto vero che non si fermano solamente a ciò ma, anzi, producono anche a livello tematico-discorsivo quest'ulteriorità dimensionale. Come ci racconta Raudo nell'intervista che gli abbiamo rivolto, r\esistenza, secondo interludio: Il nichilismo è la più grande forma di onestà (Italia, 2016, 50'), Naufragio universale tentava un approccio verticale, di sprofondare appunto, risalendo a delle origini che, in quanto tali, sono per l'appunto inattingibili, ed è curioso pensare come queste origini fossero quelle dei Marnero, i quali, appunto, si collocano in uno spazio già iniziato e originato, il che, storicamente, significa che il Mar Nero era, intorno al 5mila a.C., un lago (Il Diluvio Universale secondo l'ipotesi Ryan-Pitman), come non è più, mentre - ed è quello che ci interessa - a livello di memoria più che di storia significa che i Marnero sono direttamente collegati ai Laghetto (Porgi la guancia di un altro), che non esistono più e, come tali, sono inattingibili. D'altro canto, ne Il sopravvissuto il percorso non è più verticale bensì orizzontale. Questa orizzontalità non dev'essere percepita come una staticità, e ciò per il fatto che i naufragi, le catastrofi semplicemente accadono. L'orizzonte è quello degli eventi. Ne Il sopravvissuto, l'orizzontalità è data dalla catastrofe, che tuttavia è già avvenuta. È il luogo della catastrofe, nel senso che è segno, sintomo della catastrofe (Il porto delle illusioni, costruita, BTW, sulla musica de Porgi la guancia di un altro). L'orizzontalità implica il bordo, il limite. Un limite comunque differito asintoticamente, poiché, come dicevamo, la catastrofe, è l'origine e all'origine del luogo (cosa fa il luogo? dà luogo. Proprio dello spazio è di lasciar spazio). Di nuovo, è un fallimento, come racconta L'Ubriaco, il Sopravvissuto del disco precedente, nonché, e questo lo scriviamo per sottolineare quanto dicevamo sopra a proposito dei Laghetto la voce-manifesto de Per un'estinzione della razza umana ecosostenibile. In questo senso, non si tratta di creare una nuova direzione, od orizzontale o verticale, bensì di creare un'altra prospettiva di direzione. E questo viene fatto ne La Malora, che si conclude, appunto, colle parole sopracitate e, non da meno, comincia con le ultime parole de Naufragio universale (Ovunque naufragio), il che non per rimarcare una circolarità di forma ma, più profondamente, per fondarla. Tale circolarità permea tanto il disco quanto il libro, ed è di estrema rilevanza considerarla, specie perché è proprio questa circolarità, quindi la chiusura del cerchio, a decretare, in ultima e definitiva istanza, che quella del Fallimento sia una trilogia e non una tetralogia. La trilogia del Fallimento si chiude schiudendosi quindi, si compie fallendo, ma il Fallimento, inteso rigorosamente, non è un compimento, è anzi ciò che premette l'incompiuto. Questo incompiuto non è tuttavia da intendersi attributativamente. Non è che il compimento rimanga incompiuto; piuttosto, è l'incompiutezza che si compie, e questo, come dicevamo, anche a livello tematico. Il romanzo, ad esempio, sembra iniziare in maniera omerica, solo stravolta; infatti, ci troviamo di fronte a una prima persona che parla e, subito dopo, questa voce si ferma, per lasciare spazio a una terza. L'Odissea è il primo romanzo, ma, come tale, è inattingibile, e La Malora, in quanto romanzo, non può che compiere il fallimento del romanzo originario. Non per una sorta di platonismo di maniera tale che la copia non sia simile all'Idea ma imperfetta rispetto a essa, bensì proprio perché deve originarsi altrimenti, come Imperfezione, la quale, non simulando l'origine, è di per sé perfetta (perfezione dell'Imperfezione piuttosto che imperfezione della Perfezione). Ora, il libro è diviso in due parti, così come il disco. (Ognuna di queste parti andrebbe analizzata a fondo, ma non è questo il luogo per farlo e, soprattutto, riteniamo abbiamo voglia di dire altro a proposito di quest'opera.) Schematicamente, accade qualcosa tra la prima e la seconda parte del disco: La sparizione. Parlavamo, prima, di un'altra dimensione, di un'altra prospettiva direzionale. Non verticale od orizzontale, ma una terza via. Questa terza via, che Raudo non esplicita nell'intervista ma ci pare chiara ascoltando attentamente il disco e leggendo il libro, è data dalla piegatura della memoria. Allora, ci sono questi tizi che si trovano in una taverna. Tutti hanno qualcosa da raccontare, anche la Sciamana che, apparentemente, sembra esser messa lì solo per rompere i coglioni con il suo fare saccente. La Taverna è un'eterotopia di matrice foucaultiana, ma è tale nel momento in cui v'è uno Specchio col vetro in frantumi. Ciò che accade nella Taverna è quanto segue: ognuno racconta la propria storia, ma la racconta di fronte a uno specchio rotto, che restituisce il riflesso di chi vi si specchia in maniera molteplice. L'idea di soggetto è abolita. L'unità coscienziale pure. L'immagine - ed è una cosa che molto cinema, ancora, non riesce proprio a comprendere - è tale nel momento in cui si dà cinematograficamente, cioè per interferenze (24fps, e tra un fotogramma e l'altro il nero, che lavora informalmente - usiamo questo termine nell'accezione bataillana - l'immagine in sé, processandola ed espletandone la negatività che comunque conserva: il negativo lavora per essere negativo, non per positivizzarsi). Il soggetto, di fronte allo specchio, è una molteplicità, e il recupero di Deleuze, peraltro più volte esplicitato, come ad esempio nel caso del lancio di dadi etc., e Lacan, quantomeno nel libro, è forte ed evidente (sebbene, come vedremo, questo recupero, preveda un superamento altrettanto forte del suo recupero do Deleuze, in prospettiva foucaultiana), specie in alcuni passi, che qui non andiamo comunque a citare perché non siamo a scuola. Ora, questi soggetti frammentati che fanno? Ebbene, raccontano storie, e si può ben dire che tutta la prima parte del libro di Raudo sia fatta un po' a mo' de I racconti di Canterbury, per intenderci. Rimane però il fatto che, a differenza Chaucher, qui i personaggi non sono soggetti. Ciò che raccontano è frammentato di per sé: è la molteplicità a parlare. Non è il soggetto che ricorda e racconta le proprie memorie, ma la proliferazione di individui all'interno di un soggetto, proliferazione tematizzata nel riflesso del vetro rotto dello Specchio. In questo senso, la memoria è altro da sé. Cioè, è realmente tale nel momento in cui si dà come altra da sé. La memoria, il racconto, non è di un soggetto, che ricorda precisamente, ma di una molteplicità intrinseca al soggetto, molteplicità che di fatto destabilizza la nozione stessa di soggetto, essendogli di sostrato e non viceversa (sub-jectus, ??????????). Questo è di straordinaria importanza, e ciò per due motivi: da una parte per ciò che concerne l'immagine, dall'altra perché è questo che spiega il passaggio dalla prima alla seconda parte. Come si passa dalla prima alla seconda parte? Con questo, col fatto che chi ricorda non sia unitario in sé. Non bisogna chiedersi quale sia la dimensione ulteriore aperta nel terzo capitolo della trilogia, ma come questa venga dischiusa. Come viene dunque dischiusa? Né verticalmente né orizzontalmente, ma attraverso la pratica discorsiva del raccontarsi. Il soggetto si scopre assoggettato. Il soggetto è tale nel momento in cui è asoggettatto. Lo Specchio non è rotto. Lo Specchio ha il vetro spaccato - non è uno specchio ma lo Specchio. Proprio dello Specchio è riflettere. Ri-flettendo, lo Specchio restituisce l'immagine creandola. Lo Specchio crea l'immagine. Questa immagine, a causa del vetro rotto, è immagine di una molteplicità, di una proliferazione del negativo che lavora internamente il soggetto. Per questo non è rotto, rotto è semmai lo specchio che non restituisca un'immagine simile, quello nei cessi delle discoteche di fronte al quale, ad esempio, ci si fa i selfie, perché è quest'ultimo a restituire un'immagine sballata, cioè unitaria e soggettuale. Ciò, naturalmente, riguarda la superficie. Ma la profondità va raggiunta. L'orizzonte dello Specchio, supposto rotto, è la superficie sulla quale accadono gli eventi. Questa superficie è tale nel momento in cui restituisce una profondità inattingibile, e questa profondità viene ora palesata, superficializzata attraverso i racconti, la memoria. Una memoria della profondità, che, freudianamente, non può che far affiorare dei traumi. Il trauma di esistere, anzitutto. Che è il trauma fondante e fondamentale, cioè nascere. Lo specchio frantuma, fa affiorare la molteplicità che il soggetto unifica e cerca di contenere, di controllare (non è un caso che i nomi dei personaggi siano, di fatto, dei sostantivi comuni, che i personaggi si chiamino per il lavoro o per ciò che fanno): l'Io si ritrova in questo modo composto da una pluralità d'identità, e il racconto del ricordo, la memoria, ora è tale rispetto a queste molteplicità. Non si racconta di sé come soggetti. La disgregazione dell'Io adoperata dall'immagine perviene infine alla parola, al confronto, al rapporto con gli altri. I Marnero aprono una nuova dimensione attraverso questo: la frammentazione dell'Io da parte dello Specchio - e la memoria. La memoria che non è più memoria di un soggetto, ma memoria in sé e per sé, che non ha nemmeno più bisogno di essere ricordata, poiché è proprio nel ricordo che ci si costituisce come soggetti, cioè non è che la memoria sia tale perché vi sia il soggetto ma è perché costituisce un soggetto. Il tempo è un fattore fondamentale. La frammentazione dell'Io procede parallelamente a una frammentazione temporale che, ad esempio, fa nascere, crescere e morire in poco tempo il Bambino: non c'è un tempo della memoria nel senso soggettivo del gerundio, bensì in quello oggettivo. La memoria è il solo tempo, che sprofonda il tempo. La Taverna è un'eterotopia in senso stretto proprio per questo. E proprio per questo s'accede a un'altra dimensione. Quale? Quella del Noi. Il fatto che il soggetto non sia più tale ma sia in sé una molteplicità apre, dischiude alla dimensione del Noi. Il Noi della seconda parte del disco e del libro è un Noi che è tale in quanto indice di una molteplicità di cui il Noi non è soggetto unificante. L'Ubriaco, il Cieco e via dicendo non si ritrovano soli, soggetti assoggettati in sé, ma molteplici. Come gli altri. E quindi, in quanto molteplicità pure, non possono che accogliere altre molteplicità ancora. Il soggetto è tale nella misura in cui si isola, preserva la propria autonomia soggettuale. Ma la molteplicità non può che moltiplicarsi, proliferare, amalgamarsi ad altre molteplicità o amalgamare altri molteplici, perché non ha confini, non è stretta in una morsa territoriale qual è, per l'appunto, il soggetto. Ed è allora che i Marnero scoprono quest'altra dimensione, il 4 di 3. Questa dimensione è il Noi, una dimensione aperta dal fallimento del soggetto in quanto soggetto. Che cos'è il fallimento? È fallire in quanto individui. Il fallimento riguarda un traguardo imposto. È il fallimento personale o individuale che, negli Stati Uniti, dove t'indebiti di 300mila dollari per fare l'università e, una volta uscito, lavori per pagarti gli anni universitari (per dire, eh. Figurarsi uno in quella condizione se non accettasse qualsiasi lavoro... e non è, questa, una produzione di soggettività? in quanto, appunto, assoggettamento, sia chiaro), esiste davvero nella legge, come norma: si può dichiarare il fallimento personale. I Marnero non sono gli acrobati del Fallimento. Il Fallimento è, semmai, una breccia. Il Fallimento è una via per scoprire come, in effetti, ci sia un'altra vita ancora, un Altrimenti. Dallo Specchio l'acqua fuoriesce, il tavolo diventa una nave. Quelli che erano nella Tavera sono su questo tavolo, sono ora un Noi. Ma è stato il Fallimento ad aprir loro la possibilità di diventarlo. Il Fallimento è come un reagente chimico, in questo caso. Fallire significa non poter essere in una realtà così come la realtà impone che sia. Impone la possibilità. Quale? Il Noi non è una diversità, ma un Altrimenti. Non si tratta di scappare dai mastini, ma di capire che essi c'inseguono perché noi gli diamo da mangiare. Il Noi non apre una realtà altra, diversa da questa, ma un nuovo modo di vivere. Quest'altro modo è coestensivo al reale ma diverso da esso. Posto che esista una sola cosa, e cioè l'Essere, la Realtà sarà l'Essere così come si è realizzato. Ma la Realtà non esaurisce l'Essere. L'Essere è anche una possibilità. Il possibile, in questo senso, è ciò che ha essere senza essere realizzato, senza avere realtà. Il grado ontologico di possibile e reale è lo stesso, e il Noi apre alla dimensione del Possibile, di contro a quella Realtà che, prima il Baro e poi l'Orologiaio, hanno intuito essere determinata aprioristicamente: il Sistema è tale nel momento in cui l'errore stesso è dato da esso, l'errore non è un'anomalia nel sistema, ma è presupposto dal sistema. Il Potere è tale di contro alla resistenza, ma non è che vi sia una resistenza contro il potere, bensì un potere contro la resistenza. Il potere si fa tale nel momento in cui v'è una resistenza. La resistenza implica il potere non viceversa. Ma che cos'è il potere? Il potere non è nulla. È una controresistenza. Un modo per governare e disciplinare la resistenza. Se il teatro brucia, ci si accorgerà che dietro non c'è nulla, cioè il Palazzo D'Inverno - alla presa del Palazzo D'Inverno di che si accorsero i rivoluzionari? Ebbene, si accorsero che esso era vuoto. Il potere non è il parlamento né il monarca. Abiusi non è in sé il potere, la redazione di Uzak è una fantasia: Uzak non ha mai avuto il potere, ha semplicemente gestito i rapporti. Incontri Abiusi per strada e gli chiedi un panetto, non certo l'opinione sua su un film. FilmIdee, 'sta gente qui, non ha nulla a che fare col potere, semmai coll'ambito gestionale e decisionale, ed è il fatto che si prenda le loro decisioni per vere e si decida di vedere i film di merda che consigliano a creare il loro potere, cioè quel loro potere lo crea la nostra libertà di scelta, la quale si tratta allora di mutare, di Altrimentizzare; la nostra libertà crea il potere, perché è il potere che ce la concede, ed è per questo che bisogna chiedere al potere di rendere conto delle sue scelte - del fine che vuole perpetrare e dei mezzi che ha a disposizione; il potere non viene creato nel momento in cui io vedo un film paraculato da Isabella o Abiusi, ma nel momento in cui non chiedo a Isabella e Abiusi di rendere conto della loro decisione di paraculare questo film che ho visto. Quando la Grecia vota Tsipras, che cerca di risanare i conti, ad esempio dicendo alla Germania di pagare i debiti di guerra, viene frustrato non dalla Germania ma dalla Troika europea, dalla Banca Centrale Europea, da organismi tecnici, che cioè non hanno testa né luogo né, tantomeno, sono rappresentativi di qualcuno (se ancora qualcuno crede alla balla della democrazia). Allo stesso modo, quando in Canada si proibì di usare determinate benzine sulla costa, ché provocavano la morte delle foche, le più grandi aziende petrolifere intentarono causa contro il Canada, e la vinsero, perché quello del Canada era un affronto alla democrazia neoliberale: noi vendiamo la nostra benzina di merda, voi se volete salvare le foche non compratela, però intanto noi ve la vendiamo alla metà del prezzo. Questa è la realtà. Questo è ciò che crea soggetti. Questo è ciò che assoggetta. Così Foucault. Il potere oggi non c'è, non si dà. Il potere è tecnico: sono i tecnici a produrre la soggettività. I tecnici che si prendono cura di te scrivendoti, ad esempio, sulle sigarette che morirai fumando, ma lasciandoti la libertà di farlo. In questa libertà si produce la soggettività, ma al contempo è una libertà creata dal tecnico, in cui si produce anche un dispositivo di potere che controlla la tua soggettivazione. Il punto non è che il potere abbia vinto, che ora la società del controllo predomini. Il fatto che ovunque ci siano telecamere a circuito chiuso non è indice del fatto che siamo controllati, che abbia vinto la società del controllo, bensì che viviamo in un'epoca straordinariamente libera. L'immagine della telecamera, tuttavia, è l'immagine del soggetto. L'immagine dello Specchio, come abbiamo visto, è un'altra. Questa è la vera immagine, perché è essa che, come in Hypnosis Display (USA, 2014, 70') di Paul Clipson, porta non solo a vederla ma anche e soprattutto a vederci. L'immagine, se è tale, è perché attrae il nostro sguardo: l'immagine ci guarda, non viceversa. In Hypnosis Display, come ne L'Ubriaco e il Cieco, si arriva alla considerazione che la visione è visione di visione. La figliastra di Clipson si vede guardare, come il Cieco. E in questa visione di visione è, cioè agisce, ma perché la visione di visione è di per sé non un'immagine dentro l'immagine ma il farsi immagine dell'immagine, che sfugge come tale all'immagine in sé. Non l'immagine realizzata, ma la lente. Ludione della lampada (Italia, 2016, 125') ha mostrato tutto su questo: vedere Altrimenti significa vedere Attraverso. Quest'altrimenti non riporta a un'altra realtà. La realtà rimane quella che è. Il nemico rimane il medesimo. Ma lo si vede in maniera diversa, con un Come differente. È una pratica. Bisogna guardare la lente rossa, non il paesaggio così come viene arrossato dalla lente. Fermarsi lì dove accadono le cose, cioè, come canta Raudo, sul bordo. Il bordo è uno spazio che è propriamente tale, perché fa spazio. L'inabitabilità del bordo è propria di uno spazio che non fa che fare spazio, che non si lascia definire. È la soglia, Threshold (USA, 2013, 19'), di Robert Todd, per intenderci. Questo bordo permette di considerare le cose Altrimenti perché le si vede Attraverso, quell'Attraverso che è il bordo, il quale, propriamente, la attraversa in quanto bordo. Di qui, tutto cambia perché nulla cambia, ma non cambia a livello, come dire, esterno: la rivoluzione è prima di tutto una pratica del sé, non si tratta di cambiare le cose esternamente (Tanto ride tanto piagne è fondamentale da questo punto di vista, e non solo per l'attacco di Flaiano ma anche e soprattutto per il recupero del primo libro del Comitato Invisibile, «L'insurrezione che viene», i quali, nel loro secondo testo, parleranno della Sparizione come pratica rivoluzionaria), perché allora si creerebbe una resistenza, di fronte alla quale il potere, come storicamente accade, si forma. Non cambiare la realtà, ma cambiare se stessi. Per scorgere, sullo stesso piano ontologico della realtà, cioè sul piano d'immanenza che è l'Essere, un'altra realtà o, meglio, un Altrimenti della realtà, una possibilità non realizzata dalla realtà. La possibilità del Noi, ad esempio. Che è interna alla realtà. Realtà che si satura nei giochi di potere. Giochi di potere all'infuori dei quali non puoi stare. Qui i Marnero schivano Deleuze. Non si tratta di un nomadismo, il loro. Non si tratta nemmeno di cercare una via di fuga dal reale, dal potere. Il movimento verticale e quello orizzontale fallivano per questo. Perché non è possibile uscirne. Cos'è possibile fare? Praticare una pratica del sé tale che essa dia modo d'aprire alle possibilità non realizzate del reale. Vedere Altrimenti. Il Noi della seconda parte della Malora è di nuovo nel Porto, ma ora il Porto è visto in maniera diversa. Ed è con ciò diverso. I rapporti di potere non è che siano ribaltati, ma ora il Noi non è più assoggettato, non è più soggetto, e può ritrattare la sua posizione, così come quella di chi ha in mano il gioco, della polizia che tiene i cani a guinzaglio, i quali, da mastini che erano, diventano, grazie all'Altrimenti della Visione, altro da sé, bestie che inseguono perché hanno fame. L'immagine ha un potere performativo a livello ontologico inequivocabile, ed è questo che noi speriamo d'aver portato in superficie parlando, a modo nostro, del disco dei Marnero. Non si tratta di vedere altro, ma di Vedere Altrimenti. È diverso. Perché allora si tratta di abbracciare, sì, il disastro, ma nel senso della Malora. Il Suono della Malora è il suono delle cose che vanno in frantumi, che s'incrinano. Il fallimento non è un congedo, ma è la linearità di chi fallisce e dell'ambiente in cui fallisce. Il fallimento non apre ad altre realtà, ma ad altre possibilità di questa realtà qui: «La Malora non arriva mai perché c'è sempre stata. Ciò che arriva, invece, è la sua percezione. Arriva a rivelare il vero volto delle cose. Vedi, dalle mie parti si dice che la mala ora è una malattia buona. È un nodo di dolore. E il dolore è l'unica cosa reale che conta, che apre gli occhi, che svela e smaschera. Chi vive come se potesse vivere per sempre, lo fa perché non sa che la Malora è già qui» http://emergeredelpossibile.blogspot.it/2016/10/errata-corrige-10-la-malora.html.

RUMORE

rumore

3-1-2016
a cura di Francesco Farabegoli

Non è una cosa che viene in mente molto spesso quando si ascolta un disco, ma è abbastanza scontato che i Marnero siano dei dilettanti. Nel senso di persone normali, gente con un lavoro vero che non vive di musica e programma ferie per fare un giro per l'Italia, posti occupati e qualche club, uno sport che i musicisti coinvolti nel progetto praticano da 15 anni e oltre. 15 anni in cui il rock pesante in generale è venuto a trovarsi in un vicolo cieco, alla disperata ricerca di un rilancio sulla posta che è sempre finito a monte. Ha provato a velocizzarsi fino al limite dell'inintelligibile (post-black, grind, ultranoise), ha provato a rallentare fino all'immobilità assoluta (doom, drone metal), mentre con l'altra mano si adoperava per addolcire i toni e blandire l'ascoltatore poco prima di inchiodarlo al muro con esplosioni e sfuriate apocalittiche. Non è che non abbia funzionato, ma era sempre una versione più elaborata di roba che avevamo già visto in passato, ed è ragionevole pensare che il futuro non ci riservi nulla se non altre riproposizioni. I Marnero, ecco, danno l'idea di suonare soprattutto per se stessi. Percorrono l'unica via che sta dando ancora frutti, quella dell'incazzo, delle urla e delle sfuriate fuori controllo. La musica che fanno è una specie di rock normale suonato con tutti gli strumenti al massimo e l'atteggiamento kamikaze di chi sale sul palco come se non ci fosse un domani (come infatti non c'è), forti di un'emotività sfiancante e di un'efferatezza di classe Breach/Acme. Per questo fa strano pensare che uno come J.D. Raudo, un po' il protagonista della vicenda Marnero, sia probabilmente costretto a fare un lavoro vero: l'ascolto dei suoi lavori lo fa immaginare totalmente immerso nella realtà disperata dei personaggi che racconta. La malora è il terzo-e-quarto episodio della Trilogia del fallimento, un allucinante mostro discografico iniziato sei anni fa con Naufragio universale e proseguito con l'eccezionale Il sopravvissuto; parte dalla fine di quel disco, con una nave che attracca in un porto. E da lì si sviluppa quello che è un concept album in tutto e per tutto, per giunta accompagnato da un romanzo omonimo scritto da JDR in uscita per Bebert. Un'opera poderosa da ogni punto di vista, sia dal punto di vista musicale che lirico: un'antologia di Spoon River proiettata verso la fine di tutte le cose, fin troppo facile da leggere come metafora della vita quotidiana (non troppo edificante, ok). Organizzata in una quindicina di blocchi, uno per ogni personaggio o una scena diversa della stessa storia; costruita su continui saliscendi strumentali, in cui trovano spazio ospitate di lusso di gente come Ovo o Bologna Violenta a puntellare l'assetto granitico del quartetto; costellata di alcuni dei momenti più suggestivi e violenti mai concepiti dal gruppo, come l'esplosione urlata alla fine de L'Ubriaco e il Cieco o la cavalcata iniziale de La Sciamana e il Testimone. Un disco di valore incalcolabile.
ANAGRAFE
Parentela 60% italia DIY anni duemila 20% postcore suicida scandinavo 20% noise macilento scuola AmRep
Cittadinanza: apolidi/naufraghi
Residenza: Bologna, da qualche parte negli abissi
il meglio: è una delle poche musiche di fronte a cui ci si sente ancora svestiti.
il meno meglio: non è sempre piacevole sentirsi svestiti di fronte a una musica.

IL MUCCHIO SELVAGGIO
2-2-2016
a cura di Andrea Provinciali

Ci sono voluti ben sei anni ai Marnero per portare a compimento la loro Trilogia del fallimento inaugurata nel 2010 con il loro esordio ufficiale Naufragio universale, continuata nel 2013 con Il sopravvissuto e conclusasi oggi con La Malora. Un’impresa non da poco per una band che ha fatto dell’indipendenza DIY una scelta di vita mai messa in discussione. E quindi occorrono forza, determinazione, coesione e idee chiare per realizzare un progetto così ambizioso che segnerà per sempre – ne siamo sicuri – la scena punk hardcore italiana. Insomma, i Marnero non rivoluzionano niente – e nemmeno gli interessa - dal punto di vista musicale, ma il loro grande merito è quello di aver dato forma a un monolite granitico e indistruttibile che ci ricorderà fino alla fine dei giorni il destino dell’umanità. La Malora è suddiviso in due parti per un totale di nove capitoli in bilico tra sfuriate hardcore, grida, digressioni metal, momenti di quiete, voci declamanti, deflagrazioni soniche e ondeggiamenti post-rock dove i testi di J.D. Raudo (tratti dal suo omonimo libro in uscita per Bébert Edizioni) ci conducono all’inevitabile epilogo: “nulla è più necessario dell’ultimo lancio di dadi per imparare a morire […] lo sapevamo da sempre, ma adesso è a Noi la Scelta”. E nella coda finale de Il Baro e Il Bambino si sente pure un Piero Ciampi d’antan.

GRINDONTHEROAD
2-9-2016
a cura di Caino

CE se queste fossero solo parole? È questo l’incipit de La Malora, terzo capitolo della Trilogia del Fallimento che i Marnero hanno avviato con Naufragio Universale(2010) e proseguito con Il Sopravvissuto (2013). La sequenza dei titoli esprime abbastanza esplicitamente il concept della trilogia: un disastro, il tentativo di sottrarsene, la consapevolezza infine di non potervi sfuggire. Nel primo capitolo, musicalmente scarno ed essenziale, ecco il naufragio, la catastrofe; nel secondo – il più quadrato ed aggressivo dei tre – il sopravvissuto (o i sopravvissuti?) cerca un altrove, fugge per mare, il non-luogo che per definizione rappresenta una rottura con il proprio passato, con il mondo che si era conosciuto. Ora, però, gli scampati devono affrontare La Malora: inevitabile approdo di una ricerca destinata, in realtà, a non potersi concludere. Il disco possiede un carattere quasi letterario (ed è infatti legato al libro omonimo, opera del cantante e chitarrista J.D. Raudo). I sopravvissuti al naufragio si ritrovano in una misera locanda ed iniziano a raccontare le proprie storie, sempre in sospeso tra realtà e dimensione onirica (sono forse, come ci suggeriscono i Marnero, solo parole?), verità e menzogna. Mentre nuovi personaggi si affacciano sulla scena, la situazione scivola sempre più verso l’inevitabile resa dei conti: e ciascuno di loro dovrà fare i conti con se stesso, e la consapevolezza che non esiste salvezza. Sul piano strettamente musicale – ché, sì, è ora di parlarne – i Marnero compongono il loro disco più ricco e complesso, ancorato alpost-hardcore che ne ha sempre contraddistinto il sound ma oggi abbellito, rispetto ai precedenti capitoli, da numerosi elementi sia melodici che ritmici, segnalando un miglioramento sensibile sul piano della scrittura. È il disco più vario, che riesce ad esprimere umori molto diversi grazie anche all’apporto dei numerosi ospiti – Bruno Dorella e Stefania Pedretti (OvO), Nicola Manzan (Bologna Violenta), Michele Stocco (Phobonoid) e altri – tanto da farne un’opera quasi corale, dal respiro molto ampio. La prima parte del disco segue un iter descrittivo il cui highlight emotivo viene raggiunto ne “L’ubriaco e il cieco”, il cui finale tocca un’intensità che ci ha ricordato i mai abbastanza rimpianti Fall of Efrafa (sebbene con meno veemenza). L’equilibrio si rompe distintamente con “Il pendolo”, quindi “La sciamana e il testimone”, con la sua ritmica quasi tribale, apre uno sguardo di contemplazione sulla catastrofe ormai imminente. Lo “Specchio nero” va in frantumi e si sente ormai, chiarissimo, «il suono della Malora». La tromba che geme ne “L’altro lato” vi prenderà per mano, guidandovi verso la consapevolezza che è ora di accettare il proprio fallimento, e «imparare a morire» La Malora è il disco con cui i Marnero raggiungono una piena maturità musicale, proponendoci un’opera d’arte nel pieno senso della parola. E che come ogni vera opera d’arte non è immediata, ma richiede impegno e curiosità; in cambio sa emozionare, mostrando un diverso sguardo sulla realtà. Complimenti alla band bolognese, che ci regala uno dei migliori dischi del 2016.
http://www.grindontheroad.com/2016/09/02/marnero-la-malora/

THE NEW NOISE
8-1-2016
a cura di Michele Giorgi

La Malora è il terzo capitolo della Trilogia Del Fallimento, iniziata nel 2010 con Naufragio Universale e proseguita nel 2013 con Il Sopravvissuto: due album di cui abbiamo lungamente parlato e che hanno lasciato un segno profondo nei nostri ascolti personali. Per questa terza parte i Marnero hanno portato a un nuovo livello il loro percorso in cui immagini, testi e musica creano un viaggio ricco di riferimenti e rimandi tra i vari linguaggi, tanto da decidere di dar forma fisica alle parole con il libro di J.D. Raudo, uscito per Bebert Edizioni e sulle cui storie si basano i testi, come ben spiegato nelle note che ne seguono il dipanarsi. Come intuibile, resta centrale la fascinazione per immagini a tema “marinaro”, con isole, porti, taverne e vascelli alla deriva, e con il tutto che assume i tratti della metafora celata nelle pieghe di una storia dai contorni traballanti, sempre pronti a cambiare per mutare prospettiva e significato in un continuo sprofondare e acquistare consapevolezza di ciò che via via prende forma o – al contrario – la perde. Non sveliamo troppi particolari, tanto al solito è completamente a vostra disposizione da scaricare e diffondere in piena libertà, a ribadire come la voglia di condividere il tragitto sia il motore centrale dell’intero progetto. Non per questo si lascia che l’aspetto visivo e tattile in secondo piano, vista la cura e la forza immaginifica delle grafiche curate da R R, ulteriore livello di un’opera su cui probabilmente si potrebbe scrivere un trattato più che una recensione. C’è anche la musica, ovviamente, il cuore pulsante del tutto, ormai simile solo a se stessa, perché i Marnero, piacciano o meno, si riconoscono dalla prima nota, dai suoni scelti, dal modo di sviluppare i brani a seguire la trama e disegnare immagini in note, figli del sentire “post” come frullato di metal, punk, hardcore, ingoiato, digerito e risputato sull’ascoltatore in modo caotico ma mai casuale, con un forte taglio cinematografico e crescendo che si rincorrono per dar forza e accentare le immagini suggerite, in una girandola di input e cambi di umore e tensione. Al solito, i Marnero hanno coinvolto molti amici, saliti a bordo per contribuire con il proprio timbro e rendere alcuni passaggi più densi, quasi corali. Così sono molti i nomi che si avvicendano sul ponte, tra gli altri (e senza voler stabilire alcuna graduatoria di importanza: OvOManzan, Gregorio Luciani (SNSI), Michele Stocco (Phobonoid), ma la lista potrebbe continuare ancora parecchio. Il suono, altro punto di forza nel rendere vivo e pulsante quello che esce dai solchi, è frutto del lavoro di Bruno Germano (Vacuum Studio), Valerio Fisik (HombreLobo) e Riccardo Pasini (Studio 73), a trovare le giuste sfumature di ogni passaggio, ogni strumento che va a contribuire all’affresco tratteggiato con incredibile cura da uno dei nomi più importanti dell’attuale panorama (non solo) nazionale. Sono passati sei anni da quando i Marnero hanno debuttato con lo split che li vedeva in azione con i Si Non Sedes Is e quella che sembrava una promessa si è concretizzata nel migliore dei modi possibili a stabilire un nuovo punto di riferimento per l’intera scena, un esempio di come si possa creare un proprio universo personale con il semplice ricombinare gli ingredienti del menù, senza paura di mettersi in gioco e spingersi oltre i propri limiti. Ce ne sarebbero di cose da aggiungere, particolari su cui soffermarsi e dettagli da indicare a mo’ di spoiler, ma il biglietto per imbarcarsi è, come già sottolineato, a distanza di un cli. Il naufragio è garantito, buona Malora a tutti.
http://www.thenewnoise.it/marnero-la-malora

PILOTA
1-2-2016
a cura di Yuri Rossi

Salpare è un po' come giocare con la sorte, non si sa mai che orizzonte si tocca. Puoi arrivare in un paradiso in mezzo al mare o in un porto grigio, dall'atmosfera decadente, pronto a morire. E in questa città-tomba si incontrano un Cieco, un Ubriaco, un Baro, un ragazzino che corre e consuma la propria esistenza al contatto con gli altri uomini della taverna. Si naufraga inevitabilmente e si assiste impotenti alla Malora, una sciagura annunciata da una Sciamana a cui non ci si può sottrarre. Il peso dell'esistenza, di una vita destinata ad perdersi al largo della costa, in un Labirinto indecifrabile, si avverte in questa ultima fatica dei Marnero. La band proveniente da Bologna disegna un paesaggio lontano nel tempo, eppure estremamente attuale. I suoni, la voce, i testi narrano una storia burrascosa e tragica, dove i personaggi sono lasciati alla loro infelice e rassegnata condizione umana. L'arrangiamento e l'esecuzione dei brani sono suggestive ed in grado di ricreare l'atmosfera adatta alle vicende narrate. Amico, questo non è il tuo copione. https://www.facebook.com/microcosmoblog/?fref=ts

METALITALIA
9-2-2016
a cura di Giuseppe Caterino

Tra le cose che aspettavamo nel 2016 c'è anche il nuovo disco dei Marnero, "La Malora", un lavoro che si stacca e si riallaccia contemporaneamente al precedente "Il Sopravvissuto", raccontando una storia che è la stessa eppure ne è un'altra, conseguenza diretta e figlia dei suoni e delle parole che hanno costituito e concluso la 'Trilogia del Fallimento' (iniziata con "Naufragio Universale" nel 2010 e proseguita con, appunto, "Il Sopravvissuto" nel 2013), un'evoluzione stilistica ragionata e progenie di se stessa, destinazione obbligata e, finalmente, approdo. I Sopravvissuti sono a terra e tirano il fiato, si scambiano i posti nelle osterie, s'incontrano, confondono suoni, lingue, culture e tradizioni, si mischiano, diventano niente e tutt'uno, brindano insieme ad una conclamata e costruita sconfitta. Si perdono, come scopriremo. Era difficile bissare un disco ottimo e praticamente senza pecche come era "Il Sopravvissuto", e di fatto "La Malora" non lo fa. Lo diciamo e ci togliamo il pensiero: come album a se stante non raggiunge le vette del precedente (però lì si era davvero alti), ma lo utilizza come base di partenza per chiudere un cerchio; ne riutilizza i linguaggi ma non li usa per accrescere alcunché, tanto meno per tentare di percorrere strade già battute. Impossibile tornare indietro, del resto, tanto vale dunque proseguire col bagaglio accumulato nel girovagare e mostrare i frutti raccolti. I suoni da una parte si saturano, raggiungono picchi tanto in intensità quanto nel trattenersi, nel comunicare senza dire, e se tutto iniziava con l'esigenza di dare spazio alla tensione d'una tempesta notturna, oggi il mare è un po' più calmo. La città dietro al porto è una tomba gigante, cantano i ragazzi. Musicalmente il disco abbraccia una simbolica epopea, sa di colonna sonora, tra post core, sludge, certo black, doom, e tra crescendo ed episodi laceranti, quali possono essere quelli di "Porti e Labirinti", possiamo passare all'epicità minimale ed emozionante che compone "L'Ubriaco e il Cieco", ai tribalismi de "La Sciamana e il Testimone" o alle sensazioni da western coi pirati (parlavamo di epopea?) che sigillano "L'Altro Lato", ad esempio. I suoni diventano fisici e materiali, e non abbiamo usato il termine lacerante a caso: entrano sotto pelle stridori e palpabili arie che ci fanno percepire con inesorabile crudezza gli aliti che puzzano di vino di avventori spuntati dal mare, il chiacchiericcio scomposto e sgarbato di una folla sghemba, la puzza della muffa che stagna tra i tavoli di legno. Abbiamo arpeggi ad avvolgerci e urla a sferzare l'aria salina, in questo accrocchio di clandestini e tassisti che smadonnano. Il suono è quello che la band ha saputo creare qualche anno fa facendolo evolvere con attenzione, un'impronta immediatamente riconoscibile pure in una versione che in alcuni picchi raggiunge un certo lirismo post-rock e che in altri gioca trionfalmente col suo punk ricco e saturo, e in altri ancora diventa opera ("Specchio Nero" ne può essere esempio). E se in brani come "Il Clandestino e il Marinaio" coesistono diverse velocità di esecuzione e recepimento, in momenti come "Il Baro e il Bambino" o "Il Pendolo" (probabilmente il punto più alto per varietà ed intensità), i Marnero sembrano maneggiare una macchina da presa e tramite fotogrammi spezzati e asettici raccontarci le storie dandocene solo l'impressione, lasciando a noi il compito di riempire gli spazi bianchi tra un silenzio e l'altro (ecco allora che "La Sparizione" diventa decisamente affar nostro). "La Malora" è un disco importante perché ce n'era bisogno, come sequela di canzoni e come opera conclusiva di una storia che un po' tutti dovremmo aver ascoltato. E conferma il valore del combo bolognese, capace di creare, con un post hardcore velato di molto altro, trame intricate e quanto mai carnali ed umane, attualizzando al 2016 un percorso pieno di insidie e scoperte: e seppure qualcosa sembra essersi perso nel largo mare, altre forme si son venute a creare col tempo, e la figura è, manco a dirlo, in continua metamorfosi. In viaggio, meglio, su una zattera costituita da un tavolo ribaltato, di nuovo ad affrontare le onde. E il mare, si sa, a volte prende, a volte per fortuna dà.
http://metalitalia.com/album/marnero-la-malora/

MEGANAI.IT
18-1-2016
a cura di Nicola Altieri

Ci sono dischi che non suonano. Vivono. Non sono fatti di musica e suoni ma di sudore e dolore. Un dolore costante, incessante, un compagno forzato da guardare dritto  negli occhi, giorno per giorno, al punto da farlo essere la vita stessa. Ci sono dischi che nel loro incedere implacabile tirano fuori una visione del vivere che è vivida nella sua assoluta oscurità. Forte perché sanguinante, Incrollabile perché inconsolabile. Ci sono dischi che ti si insinuano sotto pelle, ti agguantano e trascinano in un oblio che non è altro che la rappresentazione del tuo sentire più profondo, il perfetto contorno del disagio dello stare in contatto costante con lo schifo tutto intorno. Ci sono dischi che tra rumori e parole ti leggono dentro, ti ingoiano, ti masticano voracemente e ti risputano fuori, vomitandoti addosso bile, disperazione, risentimento, disincanto e passione, tonnellate di passione. Tutta la vita possibile in stralci di discorsi impazziti e istantanee di pensieri sepolti. Ci sono dischi che non conta come suonano ma perché e quanto. Poche settimane fa è uscito La Malora, il nuovo disco dei MARNERO, seguito di quell’assoluto e lancinante capolavoro che è Il Sopravvissuto. Nei prossimi giorni uscirà La Capitale Del Male, il nuovo disco degli HATE & MERDA. Due dischi così.
http://www.meganai.it/Articoli/marnero-ed-hate-merda#!slide_1

NEURONI FANZINE
9-4-2016
a cura di Trucco

Marnero, La Malora. È praticamente un’unica canzone lunga ed è la canzone pesa più lunga e migliore che io abbia mai ascoltato. È un’epopea da leggere senza soluzione di continuità. Ha potenza, poesia, è più cupo del Sopravvissuto e ha un suono impastatissimo ma abbastanza da non permettere di godere della musica che ci sta sotto, la sinfonia della tragedia che distrugge tutto e proprio per questo permette di scegliere e ripartire. In fondo è un sogno, per certi versi: se c’è una cosa che dà la possibilità di ricostruire tutto senza rimpianti è il disastro che si abbatte dall’alto e non lascia nulla dietro di sé. Se sopravvivi, è fatta.
https://neuronifanzine.wordpress.com/2016/04/09/tre-dischi-da-ascoltare-a-rota/

MESTOLATE
26-12-2015
a cura di Stefano Barone

Un pendolo batte quattro rintocchi, poi perde un colpo, c’è una frazione d’istante di silenzio,e poi un rovesciarsi disumano.
In quella frazione d’istante, dal 2013 a oggi, i Marnero sono diventati il miglior gruppo rock italiano. Ci hanno traghettati da nessuna parte, ognuno per sé, e più di un Sopravvissuto si è lamentato di non riuscire a vedere nessuno spiraglio dentro quell’individualismo letteralmente disperato, nessuno spazio per il noi. Così, a questa nuova tappa, i Marnero hanno fatto incontrare i Sopravvissuti. Ciascuno dei personaggi della Malora è diversissimo, ma sono tutti il protagonista dello scorso album. Il punto d’incontro è la terraferma, che non è ferma per un cazzo. E’ una taverna alla fine dei mondi: un luogo di riparo, allo stesso tempo, un luogo da cui fuggire a gambe levate, un luogo che fugge a gambe levate. La sensazione centrale che mi dà questo disco sta proprio dentro la taverna: l’ambivalenza tra il calore dell’incontro e il bisogno impellente di scappare, l’incombere del terrore. (non ho letto il libro omonimo di John D Raudo, ma nei due capitoli disponibili in anteprima, benché debba concedere che Raudo non è uno scrittore, quella sensazione diventa quasi fisica). E’ un periodo in cui mi sembra che molti critici compongano le loro playlist dietro un’attenzione maniacale per cosa racconti meglio il nostro tempo: come rendere il presente immediato senza appiattire la sua frammentazione? Tutta l’attenzione verso PC Music e accelerazionismo viene da là, e c’è qualcosa nascosto tra le pieghe dell’Italian Okkvult Psychedelia, dietro i suoi apparenti richiami temporali, che urla 2015 a gran voce. Dopo averdetto ai Marnero che la loro musica non è nuova, mi sono fatto un’altra idea: in nessun modo La Malora si può considerare un disco che spinga avanti un qualche progresso del rock pesante. Quello rimane, al di là di ogni dubbio, impantanato dieci anni fa. Fedeli a ciò che dicono, i Marnero operano uno scarto: non si spostano avanti, ma di lato. Fanno qualcosa che rappresenta una parentesi nella scena di cui fanno parte, ed esprimono qualcosa che non parla del 2015 più di quanto possa parlare del 1205 o del 2501. Prendono le musiche più grezze del mondo e ne gonfiano il respiro a dismisura. Fanno del punk un suono magniloquente, la colonna sonora di un nerissimo film di pirati (è in quella direzione che muovono gli arpeggi e i crescendo, più che verso il post-rock o verso gli Isis). Non si fanno mancare nulla, tra archi, fiati e un campionamento del tassista che va a Terni – evidente PLAGIO di un artista a noi caro. Ci sono scariche di violenza, istanti di dolcezza, momenti che mi aprono il cuore e momenti che me lo strappano dal petto. C’è un paio di istanti che non riesco ad ascoltare senza alzarmi in piedi – e c’è La sparizione, capolavoro assoluto dell’album. La Malora mi piace meno del Sopravvissuto. Si perde, rispetto a quel capolavoro, l’alchimia perfetta di brutalità e costruzioni catchy – quelle architetture di assonanze e rime baciate che trasformano il biascicare degli Slint in una filastrocca, in un uovo di Colombo. Quelle soluzioni sono presenti nella Malora, ma il disco è talmente carico da renderle meno fluide. E lo stesso discorso si può applicare al concept: troppo simbolismo, troppe parole in maiuscolo; manca un po’ il modo in cui il naufragio esistenziale del Sopravvissuto si incollava alla vita di ognuno (anche se forse dovremmo piantarla di giudicare l’arte attraverso questo parametro). Per di più, la voce è un po’ soffocata nel mix, ed è difficile immergersi nell’ascolto tenendo costantemente d’occhio la dimensione narrativa.
Però pochi cazzi: i Marnero sono i Marnero, la loro capacità di scrittura non si trova da nessun’altra parte, ed è ormai caso più unico che raro che un disco mi ossessioni, mi venga a cercare nell’esatto momento in cui lo cerco, lo inseguo, ci entro dentro con la voglia di esplorarlo. Ora che hanno esaurito la Trilogia del Fallimento, rimango in attesa della Trilogia del Successo. La classifica di The Quietus; I Marnero twittati da Saviano; Raudo sulla copertina di Pulp; Zerocalcare che lo intervista sul Venerdì di Repubblica discutendo della condizione dei Centri Sociali; un disco solista di nome Cum grano salis; e poi i Marnero trionfalmente a Sanremo che, nella serata delle cover, suonano Il Galeone con Lili Refrain alla voce.
https://mestolate.wordpress.com/2015/12/26/marnero-la-malora-2015

7POLLICI
13-4-2016
a cura di Zet

L
a Malora è il nuovo disco dei Marnero, mitico gruppo di Bologna che viaggia spedito tra i mari dell’hardcore e del punk seguendo una rotta tutta sua da sempre. Questa Malora è la terza tappa di un lungo viaggio partito nel 2010 con il primo tassello  “Naufragio Universale” e proseguito con lo splendido “Il Sopravvissuto” del 2013. Questi tre dischi insieme formano “La trilogia del fallimento”, percorso intrapreso dai Marnero all’interno dei mari tempestosi a cui la vita ci mette di fronte tutti i giorni. Le parole di J.D. Raudo ci accompagnano minacciose all’interno di un mondo andato a male, dove la paura regna sovrana e si vive sul bordo abissale dell’incertezza. Questa è una storia di resistenza: da leggere, suonare, riprodurre, passare, copiare, ribaltare, ribellarsi, cercare, cercare, mettere in questione la norma, mettere in questione il normale. Le musiche pesanti e veloci ci portano giù senza darci la possibilità quasi di prender fiato. Gli arrangiamenti delle canzoni sono sempre curati e impreziositi da parti di archi, fiati e tamburi dirompenti. Con “La Malora” scivoliamo dentro a una città quasi morta abitata da morenti intenti a vivere le proprie vite scavando la propria tomba giorno e notte. Qui c’è la “Taverna dello Scarto” dove prendono vita storie e leggende narrate e cantate dalla gente venuta dal mare, dai matti, dai ciechi, dai naufraghi, dai clandestini, tutti personaggi sopravvissuti. All’improvviso i naufraghi si rendono conto che uno di loro è sparito e le successive ricerche sono del tutto vane. L’ordine precedente viene ristabilito e la Malora inesorabile è accaduta da tempo e accadrà sempre, proprio quando meno te l’aspetti. Non hai sentito? Il Suono della Malora è quello della rottura del ciClo. Questa e altre disavventure le trovate anche nel libro da cui sono tratti tutti i bellissimi testi: La Malora (4/3) di J.D. Raudo edito per BéBert Edizioni. La Malora prima di uscire è stata in crowdfounding su Produzioni dal Basso ed è poi uscita su due bei viniloni colorati di verde e di rosso per Sangue DischiEscape From TodayToLose La Track e Shove Records. Ci vuole impegno, non rinuncia, per perdere colpi.
http://7pollici.blogspot.it/2016/04/marnero-la-malora.html


METASATURAE

18-1-2016
a cura di Stefano - Metasaturae

Niente di nuovo nel miglior disco dell'anno, o forse sì. Ora, siamo nell'epoca della società fluida e di conseguenza della cultura fluida e bla bla bla, e musicalmente qui siamo "fermi" a dieci anni fa. Prendi la ricetta degli Opeth diciamo fino a Deliverance, ci infili un po' di black('n'roll), un po' di post metal alla Baroness, un po' meno di Tool del solito, frulli tutto non dimenticando la lezione di cucina appresa dai Refused (potremmo chiamarlo "The new shape of Metal to come"), e hai il miglior album dell'anno, dell'unico gruppo in Italia che riesce a fare del Metal serio. In Italia l'Hardcore è passato marginalmente, di gruppi veri non ne abbiamo mai avuti fino, appunto, ai Laghetto. E il Metal (quello serio) nasce da un'esigenza punk che sublima la denuncia sociale raccontando le stesse cose con una forma diversa. Perché alla fine le tematiche, anche dei dischi precedenti, son sempre quelle dai tempi dei Laghetto, solo messe ancora meno alla cazzo di cane, meno dirette, più sottili, laterali, ma proprio per questo più forti e meno passibili di non-sense. La differenza tra uno Zweihänder alla Gatsu e uno stocco alla Griffith. Con la differenza che a scagliare colpi è Kratos di God of War. La prima cosa che impari studiando letteratura latina è che Livio Andronico tradusse l'Odissea perché Roma aveva bisogno di una saga marittima vista la sua espansione nel Mediterraneo. Dopo aver studiato Dante capisci che scrisse la Commedia per far comprendere meglio le sue opere precedenti e poter dire ancora di più. Io queste due nozioncine le applico alla trilogia del fallimento. La seconda non ve la sto nemmeno a spiegare, per la prima scriverò un po' di cose random e forse sconnesse. La società italiana (occidentale? no vabbè non mi spingo così tanto in là) si affaccia finalmente al naufragio del berluconismo e cerca di uscire culturalmente dagli anni 80 grazie a una crisi che oltre di valori è anche economica. Non ci sono più punti di riferimento (autorità, nemiche o amiche che siano) se non volatili e passeggeri e la figura dell'intellettuale (forse dovrei limitarmi a musicista, ma tanto ormai l'ho scritto) ne soffre, ma al tempo stesso trae energia da questo nichilismo. Comunque deve muoversi. Non sa il dove, non sa il perché, ma ha trovato il come (o almeno così ci dice John D. Raudo). E il come è il Punk. Il muoversi. "Il buio è solo la sparizione dell'orizzonte". La presa di coscienza che anche se non lo palpiamo, anche se siamo chiusi nel labirinto calviniano, il nemico è ancora lì, e se non lo possiamo combattere e non lo possiamo indicare, non possiamo far finta che non esista.
http://metasaturae.tumblr.com/post/136215965212/recensione-marnero-la-malora


ROCK LAB

15-1-2016
a cura di Alessandro Rossi

La sensazione del cerchio stringente, di una circonferenza che si chiude lentamente dal mare e dalla foresta, lasciando i sopravvissuti di un viaggio alla deriva, inerti sulla battigia, pronti alla soluzione estrema, qualsiasi essa sia. Perché è proprio quando tutto precipita che la condizione umana si spoglia delle sue inibizioni, lasciando emergere spiragli di luce e di orrore. La mannaia cala, e mentre scarseggiano le soluzioni prende forza un sentire atavico, legato alla sconfitta, all’inadeguatezza.
Marnero, al quarto episodio — terzo della “Trilogia del fallimento” dopo: “Naufragio Universale” e “Il Sopravvissuto” —  impreziosiscono una discografia già eccellente, con l’album forse più a fuoco; aggiungendo a corollario il testo “La Malora” (Bebert Edizioni) da cui vengono tratte le vicissitudini affrontate dai personaggi all’interno del disco. Bolognesi, provenienti dal circuito punk felsineo come prosecuzione ed evoluzione del progetto Laghetto — se amate il genere ne avrete sentito parlare, altrimenti non perdete un secondo e fiondatevi dall’uomo pera —, nel tempo hanno saputo cambiare pelle e suono mediante un approccio meno caricaturale, qui legato alla narrazione cruda del vivere sotto scacco.
Come successo per il loro suono, anche i personaggi di queste vicende sono chiamati quantomeno alla ricerca di soluzioni alternative in uno spasmo vitale che nella migliore delle ipotesi li porterà alla deriva — anche di genere. Parliamo di un muro di chitarre alto come nuvole tempestose e denso come la nebbia, di un Post-Hardcore che trova sollievo nel crogiolarsi all’interno di una bettola frequentata esclusivamente da pirati. Qui la sconfitta viaggia perennemente in compagnia di un desiderio vano di rivalsa, di non mollare il colpo, fino alla dissoluzione inevitabile.
http://www.rocklab.it/2016/01/14/marnero-la-malora


ROCKAMBULA
18-1-2016
a cura di Giovanni Panebianco

Tempo di conclusioni di inizio anno. Tempo di cominciare l’anno con un finale che lasci il segno. Tempo di chiudere un cerchio cominciato circa sei anni fa. Sto parlando de La Trilogia del Fallimento, concept sulla lunga distanza ideato dai Marnero e sviluppato in tre capitoli, di cui La Malora rappresenta l’epilogo. Come ogni bel libro che si rispetti, “Porti” è per il disco la degna prefazione, catartica, con il violoncello di Matteo Bennici ad addolcire solo parzialmente lo sfogo vomitato dalle parole di J.D. Raudo. Sono “Labirinti” e “L’Ubriaco” ad immergerci pienamente nelle atmosfere Hardcore tipiche dei Marnero, aggiungendo un personalissimo tocco Sludge. In mezzo a tutta questa rabbia abbiamo momenti di stacco, piccoli lampi di luce come la splendida “Il Baro”, sorretta da una chitarra soave e legata da una membrana invisibile a “Il Bambino”, l’episodio più introspettivo dell’album. Altre istantanee indelebili de La Malora sono senz’altro il violino di Nicola Manzan (alias Bologna Violenta) ne “Il Testimone” e la tromba di Paride Piccinini nella lapidaria “L’Altro Lato”. La band bolognese ci ha donato un lavoro dalle mille facce: veemenza, passione, riflessione. Eppure ci troveremo stranamente a nostro agio all’ascolto, cullati da note d’odio. E il naufragar sarà dolce in questo mare…di sangue.
http://www.rockambula.com/marnero-la-malora/


AVISON MAGAZINE

26-12-2015
a cura di Tommaso Battimiello

Usciti ormai otto anni fa dal laghetto per veleggiare senza troppo vento a favore verso la sconfinata massa d’acqua oceanica, i bolognesi Marnero avuto la bella idea di linkarci in free download, allo scoccare della mezzanotte fra il 24 e il 25 Dicembre (quel preciso momento dell’anno in cui invidiamo la dozzina di bambini scartaregali con cui dividiamo il salone), l’album che chiude un cerchio. Anzi, un triangolo. La Malora si pone a conclusione di un lungo percorso, alla fine di una rotta, capitolo conclusivo della Trilogia del fallimento, invischiato con tutti i panni nella giostra delle continuità/discontinuità su cui si ritrova a fare da fratello maggiore nei confronti dei due dischi precedenti. Questo disco chiude in realtà un ciclo anche per me. La band emiliana mi ha iniziato, in un freddissimo pomeriggio invernale di due anni fa, a quelle sonorità hardcore-punk che ancora oggi considero fra le risposte più azzeccate a tutti quei capricci e quelle fisime parte integrante delle mie quotidiane necessità di ascolto. Nello spazio di nove tracce, che non daranno tregua per più di tre quarti d’ora, troveranno posto tutti quegli elementi che negli anni hanno finito col divenire immediatamente e piacevolmente associabili (e anche in questo caso associati) a quei bravi ragazzi dei Marnero. A cominciare da quella commistione fra spoken word e voce in scream, che ascoltano la loro sintetica alternanza più piacevole nella quarta traccia, fino al sistematico ricorso a determinate sequenze di accordi che ci metteranno per tutto il tempo a nostro agio. Dal punto di vista strumentale l’album raccoglie il fascino per gli archi, come sentiremo subito fin dall’intro del primo pezzo, che era stato già del precedente Il sopravvissuto (c’è non a caso lo stesso Michele Boldrin), aumentando il suo arsenale con un violoncello e con la viola/violino di Manzan dei Bologna Violenta, nella traccia infernale e solenne La sciamana e il testimone a cui gli OvO prestano colpi e corde vocali. Spaccato idealmente in due, dalla quinta traccia che consiste in sedici secondi di silenzio (o di testo muto, a seconda dei punti di vista), l’album è una costruzione immaginativa di rara angoscia, un’impalcatura concept messa su con i soliti, pazzeschi testi di Raudo, fremendo per la tensione fra smarrimento e bellezza che esplode tutta nella seconda metà con quella chitarra trasognante sul finale dell’ottava traccia e con l’ultimo bellissimo pezzo, al precedente collegato senza soluzione di continuità. In L’altro lato un morbido basso, il parco violini e una tromba da ipnosi ci regalano la traccia melodicamente più soffice arrivando con una cassa d’acqua in mezzo al deserto senza però regalarci un happy ending, come invece sembrava fino a pochi istanti dalla fine. Gli ultimi secondi ci tengono a ricordare che sempre e comunque, da qualunque lato ci si trovi, il velo si può sempre strappare, sta solo a noi decidere di sbirciare dall’altra parte, dall’altro lato, e finiremo per trovarci d’accordo sul fatto che in fin dei conti, a volte, il bello è proprio perdersi. Fic: prima e dopo di te.
http://www.avisonmagazine.com/marnero-la-malora-2016/


RADIOECO
18-1-2015
a cura di Carlo Cantisani

Iniziare l'anno nuovo con la giusta dose di disagio: se ascolti i Marnero lo fai nella maniera opportuna. Si conclude con "La Malora" la cosiddetta "Trilogia del Fallimento" messa in scena dai nostri sei anni addietro con il primo capitolo "Naufragio Universale" e continuata nel 2013 con "Il Sopravvissuto". Le schegge di rumore post-hardcore imbastardite ed indurite da una certa atmosfera post-metal (quasi da richiamare certo black metal soprattutto nelle schitarrate veloci e folli) qui feriscono ancora più in profondità, affilate da un lavoro certosino e carico di esperienza negli arrangiamenti del songwriting. Lo spessore del disco emerge sin dai primissimi ascolti grazie anche un ottimo lavoro sui suoni in fase di produzione, qui più corposi rispetto al passato, e che riescono a ricreare l'atmosfera di caotico smarrimento che permea tutto il disco. Da sempre ossessionati dall'incertezza, dalla mancanza di una direzione, dall'appiattimento delle prospettive, i Marnero aggrediscono ancora una volta non solo musicalmente ma anche verbalmente, grazie a dei testi ispiratissimi che raccontano le vicende tragiche e grottesche dei personaggi dell'album, tratti dal libro "La Malora (4di3)" del cantante e chitarrista Raudo. Distruttivo e rabbioso ma nello stesso tempo fragile e in preda all'abbandono, e con una malinconia di fondo sottolineata dagli interventi di tromba, viola e violini, il disco è la perfetta sintesi dei due precedenti, potenziata e perfezionata. Inoltre, è infree download ma supportare uno dei migliori gruppi in Italia del genere è quasi un obbligo. 
http://radioeco.it/marnero-oke-father-murphy-bringtheeco6/


KATHODIK

17-5-2016
A cura di Vittorio Lannutti

“La Malora” chiude la trilogia del Fallimento dei Marnero, iniziata nel 2010 con “Naufragio Universale” e proseguita nel tre anni fa con “Il Sopravvissuto”. Il lavoro pubblicato sia in cd, che in doppio vinile, per quanto riguarda i testi ha attinto molto dall’omonimo libro del cantante e chitarrista JD Raudo.  Il lavoro ben strutturato e molto ragionato ha un approccio hardcore ed introspettivo, benché musicalmente il quartetto rielabori a modo suo metal, punk e noise, con il supporto di molti amici, tra i quali gli OvO e Bologna Violenta/Nicola Manzan. Nel disco si respira una grande aria di insofferenza e di tensione che stenta ad esplodere, ma quando lo fa non ce n’è per nessuno. Nel complesso il lavoro resta sospeso e la tensione dominante suscita un’ansia che porta ad un’irrequietezza e ad una paura per il futuro. I Marnero non accettano, né cercano compromessi, ti sbattono in faccia tutti i loro subbugli interiori. Prendere o lasciare! Io prendo e metabolizzo. Voi?
http://www.kathodik.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=6290

RONDINAE TUMBLR
Bisogna andare avanti anche se avanti non c'è nulla. Bisogna guardare l'abisso e c'è il rischio di finire a brandelli. E allora? Senti il Suono della Malora. Senti il Suono della Malora. Ho sempre considerato i Marnero una delle band più tristi che io abbia mai ascoltato, oltre fra una delle cose più belle che siano accadute in Italia negli ultimi anni. Tristi non in senso musicale eh, ma proprio perché i loro testi ti buttano giù e ti fanno passare la voglia di vivere. La penultima canzone de La Malora, il loro ultimo album, (che poi l'ultima traccia è una strumentale), ha completamente stravolto il modo in cui ho visto i precedenti lavori della band. Prima ascoltavo Il Sopravvissuto e pensavo che la disfatta ed il fallimento erano cose inevitabili, e che prima o poi ognuno di noi le incontrerà, Allo stesso modo tutte le loro canzoni mi davano un forte senso di sconfitta, rassegnazione, malinconia e rimorso. Poi arriva Lo Specchio Nero ed il suo crescendo finale. E mi si sono aperti gli occhi. La disfatta e il fallimento arriveranno, è inevitabile. Ma allora tanto vale affrontarli a viso aperto, rischiare e godersi i momenti prima del loro sopraggiungere. E soprattutto quelli dopo. Un altro fallimento arriverà, cadremo in un altro abisso. Ma guardiamolo negli occhi, accettiamo lui, un evento al di fuori della nostra volontà, e noi stessi, il modo in cui siamo fatti, i nostri difetti ed i nostri pregi. Non arrendersi al disfattismo. Affrontarlo. Guardare in faccia la Malora. Bisogna andare avanti anche se avanti non c'è nulla. Bisogna guardare l'abisso e c'è il rischio di finire a brandelli. E allora? Senti il Suono della Malora. Senti il Suono della Malora. (non lo so, probabilmente sta cosa l'ho pensata solo io e sono l'unico che da adesso in poi inizierà a guardare le canzoni dei Marnero come dei manifesti alla vita, all'automiglioramento e alla gioia)
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INDIEPERME
6-2-2015
a cura di Sergio Cannea

Corpo di mille balene.... ciurmaaaa è arrivato il nostro album!!! la colonna sonora delle nostre scorribande, il suono delle nostre battaglie e il ritmo incombente della tempesta che squarcia le nostre vele.E arriva la conclusione di questo progetto ambizioso che solo 4 musicisti pirata come i Marnero potevano ideare e portare a compimento; J.D Raudo (chitarra e voce), S.B Sabata (chitarre), B.Pastura (basso e cori) e G.J.Ottone (batterie e cori) hanno ricreato l'oceano e le avventure dei Caraibi in quel di Bologna, La Malora è il 4° capitolo della trilogia del fallimento, un viaggio musicale compiuto anche grazie alla collaborazione di mozzi di grande pregio, Nicola Marzan (Bologna Violenta), Bruno Dorella e Stefania Pedretti (OVO), giusto per citare tre collaboratori bomba.Ascoltare La Malora è veramente un esperienza unica, le atmosfere ricreate sono incredibili, ci si ritrova trasportati nelle fredde e umide cambuse, mentre nei pezzi più ruvidi e urlanti sembra di trovarsi al centro di un arrembaggio, una battaglia; un vero e proprio film fatto di note, suoni e parole. Porti e Labirinti è un esempio fulgido di questa capacità dei Marnero di creare questa atmosfera fantastica, il testo tratto dal libro "La Malora" di J.D.Raudo riesce a trasmettere l'oscurità, l'odore e la cupezza dei porti caraibici, anche ne L'ubriaco e il cieco le atmosfere musicali sono da brividi, c'è un inquietudine e una sofferenza palpabile, ci vuole lavoro e applicazione per ricreare queste sensazioni con questa intensità. Come sono solito fare, vi consiglierò, a parte le due canzoni citate prima, qualche altra traccia che amo particolarmente: Specchio nero è una canzone dedicata al mare, il mare scuro, un mare tenebroso "il vuoto nel cuore nel cuore del vuoto" e poi L'altro lato, canzone strumentale che mi ricorda i primi fantastici Giardini di Mirò che porto da sempre nel cuore. Ma il vero consiglio è quello di non fermarvi ad un ascolto frettoloso e distratto, scaricate l'album e donategli il tempo che merita e vedrete che ripagherà i vostri sforzi. I Marnero hanno portato avanti questa trilogia ("Naufragio Universale" "Il Sopravvissuto" e "La Malora") nel più puro spirito dell'autoproduzione, insomma rimboccarsi le maniche e credere nel proprio lavoro; gli album sono disponibili in download gratuito su bandcamp, molto bello il sito dedicato a La Malora dove potrete anche leggere le recensioni e fare una donazione o acquistare il disco, la maglietta e il libro, sito molto curato sia graficamente che funzionalmente. La Malora è uscito grazie alla collaborazione di Sanguedischi, ToLoseLaTrack, Shove, EscapeFromToday e FalloDischi; una album da avere assolutamente.
http://indieperme.blogspot.it/2016/02/la-malora-marnero.html